Monday, October 24, 2005

GENERAZIONE DI FENOMENI

Undici. Come una squadra di calcio. Sono gli alunni di terza media ai quali tengo, per il primo quadrimestre, un corso di Latino per le prime due ore post prandium del lunedì. Un corso al quale ho l’impressione che almeno sei o sette di loro partecipino solo per non fare altri laboratori. Tutto lì. Eppure questi undici sono sintomatici di ciò che ci aspetta per i prossimi anni. Basta esaminarli uno a uno per capire che chi scrive non vede male le cose.

Maria, albanese, è l’unica straniera del gruppo. Non è una cima e non so come mai abbia scelto la lingua latina. Oltretutto è spesso assente da scuola, in virtù di una situazione familiare bizzarra [eufemismo]. Me la vedo sposata a un uomo che la trascurerà, accentuando così quell’aria perennemente malinconica incorniciata su un viso comunque carino.

Elisa, Mara e Francesca sono il tris di oche. Elisa è l’oca giuliva per eccellenza, con la sua camminata a culone in fuori e la risatina stupida che echeggia nell’aula per qualsiasi cazzata venga detta. Una cretina per antonomasia. Mara è l’oca svampita, che pare sempre divorata dalla stanchezza pur non facendo nulla da mattina a sera. Francesca è invece quella che si nasconde meglio e la scopri oca in maniera meno immediata. Me le vedo tutte tre sposate e uomini rozzi e stupidi come loro, destinate a una vita di pettegolezzi da cortile e giornali trash, imbottite di programmi scemi ed elettrici di qualche politico idiota.

Debora e Margherita sono invece le classiche ragazze che vivono di luce altrui. Se la classe ride, ridono anch’esse. Se c’è serietà, loro si adeguano. Paiono alquanto insignificanti e credo sposeranno uomini altrettanto insipidi, che però le renderanno tutto sommato felici, benché all’interno di una vita borghesemente piatta.

Matilde, napoletana verace, sprizza simpatia da tutti i pori e si distingue per il vocione su toni elevati anche quando deve chiedere se può buttare la carta. Ha un buon cervello e credo lo farà fruttare al momento opportuno. La vedo ottima madre di famiglia, sposata a un uomo serio ma passionale, che saprà renderla felice.

Giulia e Federica sono invece le due migliori, sebbene siano completamente diverse. Giulia è la classica intellettuale dissidente, con fare sornione e improvvisi slanci di cultura nei B-movies italiani anni Ottanta (a 13 anni cita Attila di Abantuono). Federica è brillante e solare, ma pure determinata e grintosa; una che ragiona da tedesca, ma ha una simpatia latina: perfetto miscuglio per una brillante carriera lavorativa. In amore mi vedo Giulia eterna single alla ricerca dell’uomo adatto e Federica donna realizzata in posizione dominante rispetto al consorte.

Infine ci sono i due maschi, Alessio e Damiano. Loro sono l’emblema della definitiva sparizione dell’uomo, inteso come maschio, nel mondo occidentale. Pettegoli, effeminati, a volte strilloni e spesso con atteggiamenti che ormai i media hanno sdoganato da tempo. Non so perché, ma li vedo bene a dirigere una maison di moda e magari sposati tra loro…

Quanto sono bastardo! In fondo sono undici tipi simpatici e divertenti!

Musica maestro: The Who, My Generation

Wednesday, October 19, 2005

IL PUNTO DI SFONDAMENTO.

Riuscire a fare breccia. Forse è tutto lì il segreto. Invece il muro non cede. A volte sembra che lo possa fare, ma subito ritorna indistruttibile. Eppure i primi giorni sembravano promettere bene e pareva che quello spiraglio si trovasse.

Illusioni. Sogni subito trasformati in tragica realtà da una situazione che non riesco a gestire. Con la mia classe proprio non riesco a legare, tra me e loro esiste una distanza che pare incancellabile. Colpa mia? Colpa loro? Congiuntura astrale sfavorevole? Ormai si può pensare a tutto. Non esiste una risposta definitiva: né colpa mia, né colpa loro. Succede. I fattori sono tanti e alcuni problemi sarebbero venuti a galla anche se al mio posto ci fosse stato un altro docente. La classe, quella che tutti definivano una bella classe a inizio anno, sta invece diventando difficile e troppi contrasti interni improvvisamente paiono venire a galla. Non solo per me, ma pure per altri miei colleghi.

I due ragazzini marocchini non fanno altro che parlare in lingua araba, ridacchiando di tutti e sovente disturbando. Note o punizioni non hanno alcun effetto. La scuola se ne frega della situazione (l'importante è che tutto sia bello da fuori: il motto dei presidi di oggi) e lascia noi insegnanti in balia degli avvenimenti. Provate a pensare un attimo a cosa significhi fare lezione quando uno dei due non parla una parola di Italiano e non fa altro che stuzzicare, più o meno con insolenza, il resto della classe. Tu spieghi e questo sta lì a non fare nulla. La richiesta di un mediatore culturale è caduta nel vuoto, perché la scuola non ha soldi per pagarsene uno. Così tu ti trovi un oggetto estraneo in aula, con conseguenti sviluppi su un equilibrio complessivo già delicato.

Credo non mi sia mai capitato di essere già così stanco e demotivato dopo cinque settimane di scuola. Forse ero abituato troppo bene, specie dopo un anno con una prima che mi considerava una misto tra un padre e un fratello maggiore, ma soprattutto una persona di cui fidarsi. Ora sono considerato sostanzialmente un estraneo. Ripeto: non è neppure colpa loro, solo che certe cose accadono perché devono accadere. Punto e basta. Non mi resta che tirare a fine anno. So che non è il giusto modo di ragionare, ma voglio vivere anche la mia vita.

Poi magari ci sarà un'inversione di rotta e tutto si sistemerà, sebbene per ora mi paia che si aggiunga ogni volta un altro mattone nel muro...

Musica maetro: Pink Floyd Another Brick in the Wall (part II)

Thursday, October 13, 2005

HOUELLEBECQ E L'ISOLA POSSIBILE.

Parliamo di libri? In fondo è una delle poche cose che so fare, almeno quando ne ho voglia. In certi momenti è l'unica cosa che so fare. Mi accorgo di essere sempre più un incapace, nelle piccole e grandi circostanze. Allora diventa provvidenziale il tuffo in quei deliziosi parallepipedi cartacei, posare l'occhio sull'interminabile mole di parole e righe che ricoprono le pagine bianche e abbandonarsi alla lettura.

Quindi arrivi al finale. E cominci a rimuginare sul libro appena chiuso, a vedere se qualcosa davvero ti è rimasto dentro o se era solo un innocuo passatempo. Innamoramento o semplice scopata, giusto per dirla in termini più consoni alla mia volgarissima personalità?

Potrei azzardare un innamoramento. La possibilità di un'isola mi è rimasto impresso e credo mi rimarrà per molto. C'è il solito stile di Houellebecq: pagine di sesso al limite della pornografia, pessimismo sulla realtà contemporanea e una cornice fantascientifica che non guasta, anzi inquieta maggiormente.

Eppure, leggendolo, ogni tanto ti senti qualcosa nello stomaco. Ti immagini davvero come potrebbe essere tra circa due millenni una Terra totalmente devastata da catastrofi ecologiche e guerre termonucleari (a proposito, da tempo cinema e libri paiono trascurare questo scenario bellico), con una popolazione di poco più di mezzo miliardo di selvaggi, dediti a indescrivibili riti sociali, non ultimo il cannibalismo, tra le rovine di una civiltà che fu. E poi questi neoumani-cloni senza sentimenti, macchine dai meccanismi biologici pressoché perfetti, che comunicano solo tramite la rete. Uomini e donne che vivono isolati in appartamenti-fortezze, che quando muoiono vengono subito rimpiazzati da un clone. Tecnologia e preistoria. Neoumani beati nella loro vita contemplativa e umani violentemente selvaggi.

Forse ci vorranno molto meno di due millenni per finire così. Forse basteranno poche decine di anni. Forse stiamo già finendo così.

Peccato solo per quel finale in cui il clone narrante, in una Madrid devastata da bombardamenti nucleari parecchi secoli prima, riesce a trovare intatto un palazzo e persino alcune insegne stradali. Va bene l'invenzione, ma che dopo secoli di bombardamenti, catastrofi e usura del tempo si leggano ancora delle insegne pubblicitarie, pare una forzatura evitabile...

In compenso c'è una chicca sfiziosa: ad un certo punto si cita, per parlare della decadenza dell'umanità, quella scrittrice italiana diventata famosa per aver raccontato le sue esperienze sessuali promiscue. Indovinate a quale pseudoscrittrice potrà mai riferirsi?

Musica maestro: Francesco Guccini Don Chisciotte

Thursday, October 06, 2005

AFFRETTARSI... MA PER CHE COSA?

Vivo di fretta. A volte troppo, tanto da non rendermi conto che il tempo a disposizione è molto più di quanto pensi. Così non riesco a prendere con calma neppure la statale che costeggia il lago: terza - quarta - quinta - quarta - terza. A volte un scalata in seconda, per un tratto una puntata in sesta, a 140 km/h su un tratto che di rettilineo ha ben poco, ma permette di schiacciare.

Ho sempre avuto il "piede pesante", come si dice in gergo. Da neopatentato mi prendevo rischi anche peggiori, accentuati da una macchina ben diversa dalle sicure automobili di oggi. Eppure l'unico serio incidente l'ho fatto andando piano. Perché il destino sa giocarti scherzi atroci. Mi ricordo che quella sera, nel mangianastri (allora le auto con il lettore cd erano pura utopia) c'era un album dei Bon Jovi: Slippery When Wet. "Scivoloso se bagnato" (più meno significa questo...): quasi un invito a stare attenti. Nonostante in quella calda sera del luglio 1990 non fosse né scivoloso né bagnato.

Oggi invece era scivoloso e bagnato, causa una pioggia che da inizio mese non lascia sostanzialmente tregua. Davanti c'era una BMW, auto non proprio utilitaria, che procedeva in alternanza tra i 40 e i 60 km/h. A seguirla, prima di me, altre due auto. Sarei potuto andar piano e marciare al tranquillo tran tran della minicolonna formatisi. Solo che io ho un difetto: odio stare in colonna. Anche se ho tempo. Anche se non ho fretta. Scalpito. Come se una strana forma di elettricità mi pervadesse. A volte mi piace andar piano, ma non quando mi costringono. Soprattutto odio procedere a strappi e continuare a frenare. Se voglio andar piano, ci vado per mia scelta.

Al primo accenno di rettilineo ho tentato un sorpasso da perfetto idiota. Poiché mi considero tale, ho sorpassato. Tre in un colpo. Non ne potevo più. Senza neppure scalare marcia. Se solo qualche altro fosse arrivato in senso opposto alla mia velocità, avrei firmato una quasi certa condanna a morte.

Invece tutto bene. Sono arrivato a scuola con un'ora di anticipo...per andare far lezione in una classe dove c'è gente che viene a scuola per giocare con la cerbottana.

Cazzo...

Musica maestro: Iggy Pop The Passenger.

Monday, October 03, 2005

UNA COSCIENZA IN COMUNE

L'avevo attaccato inutilmente per quattro volte. Un castello inespugnabile, fatto di pagine e parole che faticavo a digerire. Il record era a pagina 143 dell'edizione Oscar Mondadori (al secondo tentativo). Mi arenavo su un libro dal quale poi, al quinto tentativo, mi sono scoperto attratto fortemente.

Zeno Cosini e le sue seghe mentali, le sue indecisioni, i suoi vagheggiamenti: tante caratteristiche che ho riscontrato in me. A cominciare da quella lotta contro il fumo, emblema di tutte le ultime volte che segnano ognuno di noi. Quante volte avremo detto: "Questa è l'ultima", riferendosi a qualsiasi cosa, che si trattasse di una partita a carte, di una bevuta o di una sigaretta? Giusto per rimanere nell'ambito dei vizi. Io però non ho mai lottato con l'ultima sigaretta, perché non sono mai stato un fumatore. Preferivo farmi una canna, decisamente più divertente e socializzante. Peccato che poi gli amici, una volta imborghesiti da fidanzate (in seguito mogli) troppo opprimenti, abbiano tutti smesso di praticare la nobile arte dell'imbolsimento mentale da erba. Per carità, potrei continuare da solo, ma c'è un doppio problema: innanzitutto non sono mai stato un gran rollatore e poi in solitaria non è il massimo della vita. Diciamocelo: tra una canna da solo e una in compagnia passa la stessa differenza che c'è tra una sega e una scopata.

Comunque bando alle divagazioni. Zeno Cosini è in quasi tutto un mio alter ego, con quell'alternarsi di involontaria comicità e deprimente mestizia, senza contare la capacità di amare sempre la donna, che, per un motivo o per l'altro, risulta sbagliata. Infine per quella visione sostanzialmente pessimistica dell'uomo. La profezia (o speranza?) finale è molto simile a quella che auspico io per il derelitto genere umano, benché chi scrive abbia la netta preferenza per una definitiva scomparsa dell'umanità (a proposito: cercasi meteorite disposto a colpire questo cazzo di pianeta..).

Grazie, Italo Svevo, per avermi fatto conoscere un simile personaggio letterario, vero stereotipo dell'uomo occidentale dal Novecento a oggi.

Scusami, Italo Svevo, per non aver apprezzato prima questo tuo romanzo, che è davvero un capolavoro come dicono.

Scuami inoltre, Italo Svevo, se io però continuo a ritenere letterariamente più riuscito l'insulso Emilio Brentani di Senilità...

Musica maestro: Blink 182 All of This